Lorenzo Applauso|Una volta venivano chiamati eroi. Oggi, quegli stessi eroi sono bersagli di violenza e aggressioni quotidiane. Medici, infermieri e operatori sanitari, che lavorano instancabilmente per garantire la salute pubblica, sono sempre più spesso vittime di attacchi fisici e verbali da parte di pazienti e familiari esasperati. Una realtà impensabile in un Paese civile, eppure si ripete giorno dopo giorno, nei corridoi degli ospedali e nei pronto soccorso affollati. È una storia che ci lascia sconcertati, ma non è nuova. E ora, più che mai, servono risposte.
La sanità italiana, già fragile, si trova ad affrontare una nuova emergenza: la protezione dei suoi stessi operatori. Non si può più restare indifferenti. Non si può più perdere tempo. Ogni aggressione a un medico o a un infermiere è un fallimento del sistema e della società. La proposta di introdurre le forze dell’ordine negli ospedali non è più un’idea estrema, ma una necessità concreta. È giusto chiedersi, infatti, quale sia il ruolo dei militari che, spesso relegati nelle caserme, potrebbero essere impiegati per garantire la sicurezza nei presidi sanitari. Non parliamo di militarizzare gli ospedali, ma di creare un ambiente sicuro in cui chi salva vite possa lavorare senza paura.
La rabbia della gente, comprensibile in situazioni di sofferenza o emergenza, non può e non deve mai tradursi in violenza verso chi sta cercando di aiutare. Eppure, la realtà ci dice che spesso, di fronte a una diagnosi infausta o un’attesa esasperante, la colpa viene scaricata su chi è in prima linea. Questi operatori sanitari, già sottopagati e costretti a turni massacranti, ora devono anche temere per la propria incolumità. È inaccettabile. Come possiamo aspettarci che i giovani decidano di intraprendere la carriera infermieristica o medica se, oltre alle difficoltà lavorative, devono affrontare il rischio di subire violenze?
Gli infermieri e i medici sono stufi. Stufi di subire attacchi e di sentirsi incolpati per ogni incidente, malessere o tragedia. Sono stufi di essere trattati come valvole di sfogo di una rabbia sociale che deriva da problemi più ampi: la scarsità di risorse, l’inefficienza del sistema sanitario e la mancanza di personale. Il loro lavoro è fondamentale, ma senza il giusto riconoscimento e la giusta protezione, rischiamo di perderli.
C’è bisogno di una presa di coscienza collettiva. Non si tratta solo di aumentare gli stipendi o migliorare le condizioni lavorative – sebbene queste misure siano essenziali – ma di un cambiamento culturale. Dobbiamo tornare a riconoscere il valore di chi, ogni giorno, si prende cura di noi. È ora di agire, prima che sia troppo tardi, perché senza medici e infermieri, un Paese non ha futuro.