Miriana Lanzone | Venafro (IS). Immaginate di avere una persona carissima, una persona per la quale dareste la vita e di tenerla sempre vicino, e immaginate, poi, di perderla da un momento all’altro. Passano i minuti, le ore, le settimane, i mesi, gli anni e di lei nessuna traccia, solo tanta angoscia e interminabili silenzi. Non un incubo, ma la realtà: è la straziante storia di Pietro Orlandi, che ieri mattina, presso la Palazzina Liberty di Venafro, ha condiviso col pubblico, alla presenza delle autorità molisane e degli studenti del liceo, ricostruendo le vicende legate alla drammatica sparizione di sua sorella Emanuela, avvenuta ben 41 anni fa.
«Per noi il Vaticano era il posto più bello al mondo, il posto più tranquillo.» – spiega Pietro Orlandi – «Da piccoli non pensavamo minimamente che potesse esistere il male lì, ci sentivamo le persone più protette in assoluto, e anche crescendo, quando uscivo fuori da quei cancelli, a Roma, non mi sentivo così al sicuro come quando, invece, vi rientravo.»
Tutto cambiò di colpo la sera del 22 giugno 1983, quando Emanuela non fece più ritorno a casa. Una storia di sconvolgimenti, delusioni e depistaggi, quella vissuta dalla famiglia Orlandi, ma Pietro non ha intenzione di arrendersi.
Le Prime Ipotesi
Sembrava un ricatto per papa Giovanni Paolo II, inizialmente, la sparizione di Emanuela: le stesse persone coinvolte nell’attentato al Papa che continuavano a ricattarlo, questa volta sequestrandole una cittadina vaticana. Un’ipotesi avallata da molti, e anche il Papa in persona, di cui Pietro Orlandi si fidava ciecamente, sembrò confermarla 6 mesi dopo la scomparsa di Emanuela, quando, recandosi presso casa Orlandi, pronunciò queste parole: «Esiste il Terrorismo Nazionale e il Terrorismo Internazionale: quello di Emanuela è un caso di Terrorismo Internazionale, ma io sto facendo quanto è umanamente possibile per arrivare a una soluzione positiva.» Una frase che, invece, a detta di Pietro Orlandi, avrebbe sancito l’inizio dell’omertà del Vaticano.
Il sospetto che la Chiesa ne sapesse di più di quanto non dicesse c’era già dal 3 luglio 1983, quando, in piazza San Pietro, papa Wojtyla si rivolse ai responsabili del sequestro di Emanuela con l’appello di lasciarla andare. Fu il primo ad usare il termine ‘sequestro’ per parlare del caso.
A sottoscrivere l’atteggiamento ambiguo, la scoperta di Pietro Orlandi, avvenuta solo pochi anni fa, che la sera stessa del rapimento, tra le 20.00 e le 21.00, la sala stampa del Vaticano ricevette la prima telefonata da parte dei presunti rapitori. Il Papa quel giorno era in Polonia per sostenere la causa del Solidarność, per l’abbattimento del Comunismo, ciò nonostante la notizia che Emanuela non fosse tornata a casa era stata considerata di medesima importanza per il Papa, tanto da doverne mettere a conoscenza l’entourage.
Stato, Chiesa e Criminalità
Secondo Pietro Orlandi, l’occultamento della verità sarebbe legato a un sistema ben preciso, composto da Stato, Chiesa e Criminalità: un sistema che troverebbe il punto di massima esemplificazione nell’episodio della sepoltura di De Pedis all’interno della basilica di Sant’Apollinare. La basilica, a tal proposito, faceva parte del complesso in cui si trovava la scuola di musica di Emanuela. La sepoltura del boss della Banda della Magliana fu autorizzata nel 1991 dal Cardinale di Roma e dal Ministero degli Interni, che tentò di giustificare il fatto che Renatino – così era soprannominato il criminale – meritasse quel tipo di sepoltura.
La situazione si fece più sospetta quando l’ex comandante della Gendarmeria vaticana Giani e il suo vice Alessandrini si recarono in Procura, per volere dell’entourage di papa Ratzinger, per chiedere la rimozione della tomba dalla basilica: il procuratore Capaldo confermò di volersene occupare, chiedendo in cambio informazioni sul caso Orlandi. I due laici riferirono, quindi, a Capaldo dell’esistenza di un fascicolo contenente i nomi di alcune persone che avrebbero potuto avere un ruolo, ma specificarono che non era possibile spingersi oltre quei nomi.
La Pista di Londra
Molto convincente per Pietro Orlandi l’ipotesi che, a un certo punto, sua sorella sia stata portata a Londra. È nel 2017, infatti, che il fratello di Emanuela Orlandi ha conosciuto una persona introdotta da papa Francesco all’interno dell’ufficio che si occupa delle questioni finanziarie e amministrative del Vaticano (COSEA), scoprendo della presenza di un documento.
Composto da 5 fogli, il documento avrebbe riguardato le spese mediche, ospedaliere e alimentari che il Vaticano avrebbe sostenuto per Emanuela a Londra fino al 1997. A un certo punto il documento avrebbe dichiarato che questi fogli prevedevano in allegato altre 190 pagine, in riferimento a tutte le voci trattate nelle prime 5. Le 190 pagine non sono mai uscite fuori, mentre il documento è stato pubblicato da un giornalista, ma immediatamente dichiarato falso dalla Santa Sede.
Dopo 41 anni la verità non è ancora venuta completamente alla luce, tuttavia Pietro Orlandi ha voluto concludere il convegno di ieri mattina esprimendo la certezza di arrivarci un giorno.