Armando Pepe|C’è una lettera che arriva da un’Italia che ancora non esisteva del tutto, ma che già batteva nel cuore di chi l’aveva sognata. È datata 8 dicembre 1860 e viene da Caiazzo, un piccolo comune della Terra di Lavoro, oggi in provincia di Caserta. I firmatari sono il sindaco e i decurioni del Municipio. Il destinatario: Sua Maestà Vittorio Emanuele II, Re d’Italia.
Ma non è una lettera come le altre. È un grido, una supplica, un augurio e, soprattutto, una testimonianza. Caiazzo, come molte altre città del Sud, era appena uscita dal fuoco della guerra. Le “orde borboniche” — così le chiamano i firmatari — erano state scacciate, ma avevano lasciato dietro di sé un paese in ginocchio: case bruciate, cittadini spogliati, violenze, vendette, paura. La reazione dei contadini armati rendeva ancora incerto il ritorno alla normalità.
Eppure, nonostante tutto, in “quel tal giorno” — così viene chiamato con pudore e solennità — la popolazione riuscì a mettere nell’urna il proprio “Sì”. Quel “Sì” che avrebbe deciso la sorte delle “risorte Provincie italiane”, destinate a unirsi sotto lo scettro del cosiddetto “Re Galantuomo”.
Il linguaggio è fiero e commosso. I rappresentanti di Caiazzo si rivolgono al re con la dignità di chi ha sofferto, ma non si è arreso. Non è solo un gesto di fedeltà al nuovo regno: è un atto di speranza. Speranza che le “gravi sventure” trovino ascolto nel “cuore giusto e paterno” del sovrano. Speranza che le rovine del presente si trasformino nel fondamento di un futuro migliore.
Oggi, leggendo queste righe, ci rendiamo conto che l’Italia unita non è nata solo nei palazzi dei potenti o sulle mappe dei generali. È nata anche nei borghi feriti, tra la cenere e le urne, nei voti sussurrati dai profughi e nei sogni accartocciati tra le macerie.
E quel “Sì”, pur pronunciato in un’epoca lontana, forse ha ancora qualcosa da dirci.
TESTO INTEGRALE DELLA PETIZIONE
“A Sua Maestà, Vittorio Emanuele Re d’Italia Il municipio di Caiazzo non ha potuto far giungere alla Maestà Vostra i suoi ardenti voti di felicitazione, che profughi erano e nascosti i rappresentanti dello stesso; sgombrate ancora queste contrade dalle orde borboniche, rimaneva la reazione da loro organizzata dei contadini armati, e tutti i cittadini spogli dal saccheggio, i molti pure sono senza tetti da quelli incendiati. Però i medesimi, sfuggiti alle persecuzioni, ne profittarono in quel tal giorno a poter mettere il loro Sì nell’urna che decise della sorte di queste risorte Provincie italiane, che unite alle altre gioiscono sotto lo scettro costituzionale del Re Galantuomo. Ora il gran fatto compiuto fa quasi dimenticare le gravi sventure, che d’altronde non tarderanno a trovare un’eco di sollievo nell’animo giusto e paterno della Maestà Vostra. Ed è la grazia più intensa quanto maggiori sono state le sofferenze, così i rappresentanti del Municipio, in nome ancora della parte sana di questa popolazione, augurano alla Maestà Vostra e suoi discendenti ogni maggior bene, pari al glorioso avvenimento, che la Italia nostra ripete principalmente dalla Maestà Vostra. Il sindaco Pietro Maturi, i decurioni Lorenzo Manetti, Raffaele Giannetti, Luigi Mazziotti, Vincenzo Golia, Onofrio Marzio, Raffaele Farina, Marco Isotti”.
FONTE
Archivio di Stato di Torino, Museo storico, serie Plebisciti, «Verbali di spoglio delle votazioni per l’annessione delle province al Regno Sardo. Provincia di Terra di Lavoro», Comune di Caizzo, 8 dicembre 1860.
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