Alife. Una sentenza destinata a far discutere quella pronunciata nei giorni scorsi dalla Corte di appello di Napoli, che ha assolto con formula piena un uomo precedentemente condannato per il mancato mantenimento della figlia. In primo grado, l’uomo era stato riconosciuto colpevole e condannato a un anno e tre mesi di reclusione, al pagamento di 5.000 euro come provvisionale, alle spese processuali e, in sede separata, alla definizione di un risarcimento che poteva arrivare fino a 60.000 euro, come richiesto dalla parte civile.
A denunciare l’uomo era stata la figlia, ormai maggiorenne, sposata e con una posizione economica stabile, che lamentava l’assenza di sostegno economico da parte del padre dopo la separazione dalla madre. L’uomo, nel frattempo, si era ricostruito una nuova vita con un’altra compagna e una nuova famiglia.
La difesa, guidata fin dal primo grado dall’avvocata Carmela Amato (nella foto sotto), ha presentato ricorso in appello, sostenendo che non sussisteva più alcun obbligo legale di mantenimento, vista l’autonomia economica della figlia e la sua condizione di donna adulta e coniugata. La Cortedi appello ha accolto in pieno questa linea difensiva, ribaltando la precedente condanna.
La decisione della Corte di appello si inserisce nel più ampio dibattito giuridico sul ruolo e sui limiti dell’obbligo di mantenimento dei figli da parte dei genitori, soprattutto quando questi hanno raggiunto la piena indipendenza economica. Il caso solleva interrogativi importanti sulla durata di tale obbligo e sulle possibili derive giudiziarie in situazioni di conflitto familiare.
Per l’uomo, si chiude così un lungo percorso giudiziario con una sentenza che riconosce la piena legittimità della sua condotta. Per il mondo del diritto, invece, si apre una riflessione più ampia sui confini della responsabilità genitoriale nel contesto delle famiglie ricostruite e dei figli ormai adulti.