Lorenzo Applauso|La chiusura del Punto nascita di Piedimonte Matese e di quello di Sessa Aurunca è diventata un tema caldissimo, che tocca le corde più profonde della cittadinanza, e giustamente. Ma intorno a questo argomento si sta creando una gran confusione. È il momento di chiarire alcuni punti fondamentali, mettendo ordine tra le emozioni e i fatti.
Partiamo da una verità che spesso si omette: la legge che prevede la chiusura dei reparti con numeri inferiori agli standard non è dell’attuale governo, ma del governo Renzi. La norma è chiara: se non si raggiunge il numero minimo di parti annui (500, secondo le direttive nazionali), il reparto è destinato alla chiusura. Nessuna eccezione.
Ma la domanda che tutti dovrebbero porsi è: perché questi numeri non si raggiungono? E qui si apre il vero nodo della questione.
Chi sceglierebbe di far partorire la propria moglie, sorella o figlia in un ospedale dove, pur avendo medici competenti e preparati, manca una PATOLOGIA NEONATALE attrezzata, cioè quel reparto che può fare la differenza tra la vita e la morte nei primi, cruciali, minuti dopo la nascita? In caso di complicazioni, un neonato oggi a Piedimonte Matese non ha la certezza di ricevere assistenza adeguata. Non per colpa dei medici, ma per mancanza di risorse e decisioni prese altrove, probabilmente in quelle stanze dei bottoni lontane dalla realtà locale.
Il risultato? Le famiglie vanno altrove. E i numeri, inevitabilmente, calano. Una spirale perversa in cui l’assenza di strutture adeguate genera sfiducia, la sfiducia riduce l’utenza, la bassa utenza porta alla chiusura. Ma come possono mai risalire quei numeri se non si garantiscono le condizioni minime per attrarre e rassicurare i cittadini?
Chi ha deciso di chiudere la Patologia neonatale a Piedimonte? Non certo il parroco, né il Presidente della Pro Loco. Sono scelte politiche e amministrative, prese da chi governa la sanità regionale e nazionale. E se si vuole invertire la rotta, la politica deve intervenire con lo stesso coraggio con cui ha tagliato: servono investimenti, assunzioni, attrezzature, e una visione strategica per i territori marginali come il Matese.
Eppure, esempi virtuosi ci sono. In reparti come Ortopedia e Chirurgia dello stesso ospedale si lavora benissimo, con numeri soddisfacenti. Perché? Perché ci sono medici in numero adeguato, attrezzature moderne, primari competenti e presenti. È forse un miracolo? No. È organizzazione, è volontà politica, è investimento.
L’area del Matese non può essere trattata come una periferia dimenticata. In caso di urgenza, non si può pensare che una donna in travaglio o un neonato in pericolo debbano affrontare ore di viaggio verso le strutture metropolitane, sempre più affollate e spesso senza posti disponibili.
“Basta subire”, ci dicono i cittadini, soprattutto i giovani. Hanno ragione. È tempo che la Regione e il Governo centrale si assumano la responsabilità di salvaguardare i diritti fondamentali dei territori più fragili. Perché la salute non è un numero su una tabella. È un diritto costituzionale. E difenderlo è un dovere.