Lorenzo Applauso|A Carinola, nel Casertano, un uomo ha dato fuoco alla casa in cui si trovavano la moglie e i figli.Poche ore dopo, a Santa Maria Capua Vetere, un ventenne aggredisce la compagna incinta. Due episodi distinti, distanti appena qualche chilometro, ma uniti da un comune denominatore: la violenza contro le donne. Un’altra giornata nera in una lunga serie che sembra non conoscere pause, che si ripete con una frequenza disarmante, lasciandoci ogni volta più scoraggiati, più indignati, più impotenti.Eppure si parla di femminicidio. Se ne parla in televisione, nelle scuole, nei convegni. Le campagne di sensibilizzazione si moltiplicano, le istituzioni lanciano appelli, i centri antiviolenza fanno il possibile con le risorse – spesso scarse – a disposizione. Eppure, la storia continua. La violenza domestica, quella più insidiosa perché si consuma tra le mura di casa, colpisce ogni giorno, spesso senza lasciare scampo. Cosa non sta funzionando? Cosa dobbiamo ancora fare per fermare quest’onda che si fa ogni giorno più alta, più feroce, più crudele? Dall’inizio dell’anno, in Italia, sono già 70 le donne uccise per mano di un marito, un compagno, un ex, un familiare. Secondo i dati dell’Osservatorio Nazionale, la Campania è la seconda regione per numero di femminicidi: 11 casi, di cui 5 a Napoli, 2 a Caserta, 3 a Salerno e 1 a Benevento. Numeri che fanno paura, perché dietro ogni cifra c’è una vita spezzata, una madre, una figlia, un’amica che non c’è più. La violenza maschile contro le donne non è un’emergenza. È una realtà strutturale. È il prodotto di una cultura patriarcale che continua a considerare le donne come proprietà, come oggetti da controllare, da punire, da eliminare quando si ribellano, quando decidono di vivere libere. Ed è proprio in quella cultura che bisogna intervenire in modo sistemico, continuo e radicale. La repressione è fondamentale, certo. Le leggi devono essere applicate con fermezza, le vittime ascoltate e protette, i colpevoli puniti. Ma non basta. Serve un cambio profondo, culturale ed educativo. Serve che la parità non sia solo uno slogan, ma un valore vissuto, praticato, insegnato. Serve che ogni uomo venga educato fin da piccolo al rispetto, all’empatia, alla gestione delle emozioni. Serve che ogni donna si senta libera di denunciare, sicura di essere protetta, certa di avere accanto uno Stato e una società pronti a schierarsi dalla sua parte.Non possiamo più limitarci a contare le vittime. Non possiamo più indignarci per qualche giorno, aspettando il prossimo titolo di cronaca. Ogni femminicidio è un fallimento collettivo. E ogni giorno in cui non facciamo abbastanza, siamo tutti un po’ complici.È tempo di agire, davvero. Perché dietro l’ennesimo volto sfregiato o l’ennesima casa data alle fiamme, c’è una domanda che non possiamo più ignorare: quanto sangue dovrà ancora scorrere prima che la società decida di cambiare?
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